Sono le colonne portanti delle nostre associazioni, collaboratrici e collaboratori storici appassionati che spesso lavorano in seconda linea. Questo nuovo ciclo di interviste intende farne conoscere competenze e qualità, oltre ad approfondire le attività che svolgono.
Conosciamo Paola Pinchera.
- Quando e come hai scoperto il Jazz e come lo definiresti?
Ho scoperto il jazz all’età di 18 anni grazie a mio padre Sergio Pinchera e al M° Paolo Damiani che insieme crearono quel meraviglioso Festival che è stato 'Rumori Mediterranei' in una cittadina del profondo sud. Una sera arrivai come spettatrice a un concerto su invito di mio padre. Ero scettica, ma rimasi colpita ed incuriosita da sonorità insolite che mi fecero innamorare, fu così che mi interessai ed approfondii quella musica fino ad allora a me sconosciuta.
Per me il jazz è empatia, condivisione, inclusione.
E’ difficile catalogare questa musica che è, per sua natura, in continua evoluzione abbracciando stili e ritmi ogni volta diversi.
- Di cosa ti occupi nella/e realtà con cui collabori?
All’inizio, dopo la scuola di giornalismo, ho lavorato come addetto stampa per molti Festival Jazz e spettacoli teatrali. Poi sempre di più venivo coinvolta anche nell’organizzazione degli stessi Festival e quindi decisi di cambiare rotta e dedicarmi in toto alla produzione e all’organizzazione di eventi, ruolo che ricopro tutt’ora per varie realtà.
- Come si potrebbero avvicinare i più giovani e un pubblico diverso al Jazz?
Il pubblico di oggi del jazz è un pubblico datato, nonostante i dipartimenti di jazz dei conservatori abbiano numerosi allievi ma che non sempre frequentano i concerti, probabilmente dovrebbero essere spronati maggiormente dai propri insegnanti; ai Festival e le rassegne consiglierei di destinare maggiore spazio ai nuovi linguaggi del jazz più vicini ad un pubblico giovane. Assolutamente importante è la formazione già dall’età dell’infanzia, i bambini sono spugne e senza sovrastrutture, se coinvolti in maniera giocosa ameranno questa musica con buone possibilità di diventare il pubblico del futuro.
- Dalla tua prospettiva quali sono i punti di forza e quali i punti di debolezza del sistema del jazz?
Il punto di forza è sicuramente l’inclusione. Abbraccia tutte le diversità e le fa proprie, creando una musica che non ha confini prestabiliti, né pregiudizi. Il punto di debolezza è il sistema ancora fortemente elitario e antiquato. Sono ancora pochi i giovani che ricoprono ruoli importanti da poter scardinare pregiudizi su progetti innovativi e visionari.
- Hai collaborato (o tutt’ora collabori) con altri settori culturali? Cosa consiglieresti di importare in quello jazzistico?
Ho collaborato con eventi di ogni genere artistico-culturale: dal teatro alla danza, alle mostre d’arte e alla musica classica. È difficile da individuare ma sicuramente questi settori hanno maggiori risorse economiche rispetto al mondo delle jazz.
- Come ti immagini il Jazz del futuro?
Attraverso la lotta che stiamo affrontando in questi anni con la Federazione Nazionale del Jazz Italiano e tutte le sue componenti, mi auguro che il jazz riesca a raggiungere l’obbiettivo di ottenere, soprattutto in Italia, un maggiore riconoscimento in quanto importante e determinante tassello della vita culturale e della musica della contemporaneità.